venerdì 4 luglio 2014

RACCONTO SULLA DISLESSIA: (1° parte)" Incompreso"

(Ogni riferimento a cose o a persone è puramente casuale)



" Incompreso"


Peter era un meraviglioso bambino. Capelli neri e occhi azzurri erano i suoi tratti. Fin dalla nascita la vivacità e la gioia di vivere lo avevano sempre accompagnato. Si divertiva a giocare con chiunque e soprattutto aveva piacere di farsi prendere in braccio da qualsiasi persona: egli si fidava di tutti e tutti gli volevano un gran bene. Rappresentava l’orgoglio della famiglia. Crebbe in fretta e, all’età di quattro anni, venne iscritto alla scuola dell’infanzia.
Per Peter ciò significava entrare in nuova dimensione, ricca di nuovi e potenziali amici. Il suo primo anno di scuola trascorse infatti all’insegna del divertimento e della scoperta di nuove straordinarie conoscenze. Quando arrivò l’estate e la scuola finì egli si dispiacque molto, perché l’attendeva un’estate lontana da quel suo nuovo e incantevole mondo. Poi, per la sua gioia, finalmente sopraggiunse l’autunno e Peter si ritrovò a frequentare il secondo e ultimo anno di scuola dell’infanzia dove ritrovò tutti i suoi compagni.
Ma quel suo secondo anno incredibilmente si trasformò in un anno difficile per Peter.
La maestra molto spesso preparava della schede di preparazione per la scuola primaria, ma per lui, queste schede erano molto difficili. Presentavano delle letterine sparse e bisognava saperle riconoscere leggendole. Peter sapeva che l’anno seguente avrebbe frequentato la scuola “dei grandi”, e che quindi doveva riuscire a leggerle così come doveva riuscire a leggere anche i numeri sparsi. Lui ci provava con tutto se stesso e con grande sforzo. Che difficoltà! Più tentava e meno ci riusciva, soprattutto quando la maestra gli chiedeva di leggere a voce alta.
I primi tre mesi trascorsero lentamente, pareva che il tempo si fosse fermato. Per Peter le ore sembravano correre solo quando si trovava a giocare con gli amichetti o con i suoi familiari o quando vedeva i cartoni o giocava con la play.
Finché dal quarto mese in poi dei terribili crampi allo stomaco iniziarono a colpirlo già di prima mattina. Seguiti da coati di vomito. La prima settimana i genitori preoccupati evitarono di mandarlo a scuola così da tenerlo sotto controllo, poi lo fecero visitare. Il dottore concluse la sua visita con la seguente diagnosi: influenza intestinale. Gli prescrisse altri dieci giorni a casa curato con dello sciroppo e poi sarebbe potuto tornare a scuola. Così accadde.
Peter era completamente guarito ma la sera prima del ritorno a scuola fu preso da un terribile mal di pancia.
Non disse niente a nessuno, lasciò che alcune lacrime cadessero delicatamente sul suo volto, e si addormentò.
Quella sera era andato a letto quasi senza cena, avendo poco appetito e la mamma gli si era messa accanto per raccontargli una fiaba. Peter nell’ascolto era di spalle perciò la mamma non si era accorta di nulla.
La mattina seguente i crampi allo stomaco arrivarono puntuali e, nonostante ciò, venne comunque accompagnato a scuola. 
La mamma era intenzionata a parlare con la maestra per comunicarle i fatti. La maestra fissò un appuntamento con i genitori per il giorno seguente. Il dialogo fu tranquillo e sereno e dal confronto con i genitori ne scaturì una conclusione: Peter è uno di quei bambini ai quali la scuola piace poco, dunque non si applica come dovrebbe. Bisognerebbe adottare strategie per spronarlo e per responsabilizzarlo, visto il futuro ingresso in classe prima.
Non poteva esserci una sentenza più erronea di questa che trovò impreparati genitori ed insegnante.
Da quel giorno scaturirono punizioni sempre più severe nei confronti di Peter, come impedirgli di giocare e con gli amici e con la play.
Peter si stava “spegnendo” e con lui l’entusiasmo e la gioia di vivere cominciarono ad affievolirsi fino a trasformarsi in sentimenti di solitudine e rabbia.
Furono questi i sentimenti che lo accompagnarono nella scuola primaria. Ma Peter non sapeva che era stato presentato con una lettera scritta, nella quale si riteneva un bambino con atteggiamenti poco consoni alla scuola. Terribili i primi giorni. Perché devo leggere tutte quelle lettere? Perché tutti mi devono sentire? Non capisco il motivo per cui tutti i miei compagni devono sapere che non so leggere. Perché? Perché a me?
Queste erano le domande che ogni giorno dirompevano nella mente del bambino. E ogni giorno che passava le difficoltà aumentavano. I colloqui con le insegnanti erano sempre più frequenti così come le punizioni.
No. La scuola non era fatta per lui. Ormai questo per Peter era evidente. Lui non sarebbe mai riuscito a leggere e a scrivere come i suoi compagni che ormai alla fine della classe prima avevano ottenuto degli incredibili progressi.
Quando si trovava in giardino con la classe, egli stava sempre in disparte. Perché provare a giocare con i compagni se loro mi cacciano? Era il suo pensiero. Per tutti lui era il bambino “strano”: com’era cambiato dai tempi della scuola dell’infanzia! Ora sembrava estraniarsi nel suo mondo. Il suo mondo, dove a chiunque era negato l’accesso. Tanto chi avrebbe mai voluto entrarci?
Peter era palesemente dimagrito, parlava poco con chiunque e le poche volte che gli era permesso, giocava con la play, chiuso in cameretta. I suoi occhi, spesso lucidi, trasmettevano amarezza e tristezza. Dentro di lui una gran voglia di confidare il suo dramma interiore a chiunque l’avrebbe voluto e saputo ascoltare. Ma chi? Ora dentro di lui stava prendendo spazio la sensazione di sentirsi un peso e motivo di delusione per la sua famiglia che lo aveva sempre amato.
Incredulo si trovò ad essere ammesso a frequentare la classe seconda. I primi giorni vennero assegnati ai bambini test di ingresso che, chiaramente, Peter non completò.
Quel giorno, all’uscita della scuola, non prese il pulmino che lo avrebbe condotto a casa come al solito. Sgattaiolò invece di nascosto, tenendosi come l'ultimo della fila. Nessuno se ne accorse. Stretta quella “rossa” verifica in mano, scappò via più lontano che poteva. Non avrebbe voluto dare un’ulteriore delusione in famiglia. No, certamente non poteva. La soluzione migliore era quella di scomparire.
Il pulmino giunse alla fermata dove la mamma lo aspettava. Ma Peter non scese. Lui non c’era, e la ragazza che controllava i bambini sul pulmino non l’aveva visto salire, così come non l’avevano visto i suoi compagni. La mamma fu presa dal panico e di corsa con la  macchina raggiunse la scuola certa di trovarlo lì nella speranza che avesse perso il pulmino. Quando non lo trovò, si precipitò immediatamente dai carabinieri per denunciarne la scomparsa. Nel frattempo era sopraggiunto anche il marito. Entrambi iniziarono a darsi le colpe dell’accaduto, accusandosi a vicenda di non essere riusciti ad educare il bambino.
La verità è che non l’avevano mai saputo ascoltare. 
E quante volte Peter ci aveva provato!
Le ricerche iniziarono la sera stessa e proprio all’imbrunire, sotto una panchina in un angolo di un parco giochi non molto lontano dalla zona della scuola, i carabinieri, trovarono addormentato e tremante un bambino.
Era Peter, con stretto in pugno un…………………..
( fine prima parte)                                                                       (giuba)



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