RACCONTO SULLA DISLESSIA: (2° parte)" Incompreso"
" Incompreso"
Era Peter, con stretto in pugno
un....
pareva proprio un foglio di quaderno ma
stropicciato e colorato. Il bambino venne preso con estrema delicatezza e, nel
sollevarlo da terra, il foglio gli cadde dalla manina che si aprì, sconfitta
dalla stanchezza.
Gli occhietti chiusi e arrossati da un
lungo pianto, le gote rigate dalle lacrime, sicuramente scese senza controllo,
il corpicino avvolto da un caldo tepore. Solo le manine erano gelate e brividi
improvvisi lo percorrevano, facendolo sobbalzare di tanto in tanto. Gli abiti
che indossava erano gli stessi che avevano dichiarato i genitori.
Non c'erano dubbi: era il bambino
scomparso. Peter venne avvolto da una coperta senza che se ne potesse accorgere
e trasportato all'ospedale di zona.
I genitori erano stati già avvisati del
ritrovamento e già erano ad attenderlo in ospedale. Venne anche consegnato loro
quello strano foglio di quaderno, poichè, dalla modalità del ritrovamento,
sembrava avere una grande importanza per il bambino. Peter trascorse in
ospedale quindici giorni, poichè la febbre molto alta non accennava a
diminuire. I primi sei giorni, accanto a lui si alternavano la mamma e il papà,
giorno e notte, e non erano mai riusciti a togliere lo sguardo dal foglio
stropicciato e oramai aperto: il test d'ingresso, completamente sbagliato e
colorato di rosso dei mille segni negativi posti dall'insegnante.
Poi gli occhi dei genitori si posavano sul
gracile e pallido visetto di Peter. E quel braccetto attaccato alla flebo,
straziava il cuore.
Furono lesti a nascondere il test al
risveglio del bambino. Ormai conoscevano la verità e avevano pensato bene di
ascoltare anche un parere di un esperto psicologo così da poter aiutare Peter.
La degenza non fu così triste per il bambino dopo il suo risveglio, infatti era
tornato ad essere quello che era sempre stato, capace di amare e di farsi voler
bene da tutti. Era divenuto la "mascotte" del reparto, riuscendo a
rallegrare tutti, infermieri, dottori e pazienti.
Poi arrivò il giorno delle dimissioni
dall'ospedale, e per Peter fu un giorno bellissimo, perchè i genitori gli
avevano detto che non avrebbe fatto presto ritorno a scuola. Ah!! Che sollievo!
Pensò.
Fu invece portato in uno studio piuttosto
grande e ben arredato. Fuori c'era scritto: ps..psi...psicologo. Che nome strano!
Neanche nella sua mente riusciva a pronunciarlo.
Dentro l'attendeva una signora
dall'aspetto molto curato e all'apparenza anche molto gentile. Chiese ai
genitori di aspettare un momento in sala d'attesa, (con loro già aveva avuto
modo di parlare mentre Peter era in ospedale). Una volta soli, la gentile
signora offrì delle deliziose caramelle al bambino e iniziarono a parlare di
ogni cosa.
La cosa straordinaria era che finalmente
Peter aveva di fronte qualcuno che voleva e sapeva ascoltarlo. Il tempo sembrò
volare via come quando giocava, due ore passarono in fretta ma, alla dottoressa
erano bastati già una decina di minuti per capire il problema del bambino:
dislessia.
Il cammino psicologico continuò per tutta
la scuola primaria e in stretta collaborazione tra genitori e insegnanti. Ora
per Peter erano state attivate le giuste strategie, sia a casa che a scuola. I
voti assegnati ai compiti da lui svolti erano proporzionati alla sua fatica
nello svolgerli, dunque non ci furono più insufficienze ma solo bei voti e
tutti meritati. Peter era felice! Ora aveva, oltre alla maestra di classe,
un'insegnante solo per lui che gli si sedeva accanto e gli spiegava con
calma il comando del compito assegnato. Poi lo aiutava anche a svolgerlo e
nessuno più pretese da lui la lettura a voce alta.
In famiglia le punizioni erano scomparse
trasformandosi magicamente in premi ed incentivi. Gli era tornata la voglia di
"vivere la scuola" nel suo insieme, e la voglia di imparare
divertendosi.
Era tornato ad amare, e ad essere amato e
ben voluto da tutti e... sapete? I mal di pancia rimasero solo lontanissimi
ricordi!
Bravo Peter e .......complimenti per il
tuo dottorato!
Impariamo ad ascoltare i bambini, anche
quando stanno in silenzio, ci parlano.
( fine
)
(giuba)
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