" Con i tuoi occhi"
Era un pomeriggio. Ormai intuivo
quando qualcuno doveva arrivare. E infatti arrivarono presto dei parenti: una
mamma, un papà e i loro due figli, un ragazzo e una ragazzetta. Erano i cugini
di Sara e di Daniele, e avevano portato con sé un gattino. Io ero abituato a
giocare con i gatti, avevo imparato a vivere in campagna e lì di loro ce n’erano
davvero tanti!
Ma quel gattino non l’avevo mai
visto, e sentivo dentro di me una gran
voglia di conoscerlo e di giocarci! Al momento del pranzo tutti erano in casa a
mangiare, mentre io mi ripulivo ben bene la mia ciotola in compagnia del
gattino. Finito di mangiare fummo presi dall’entusiasmo di giocare e iniziammo
a rincorrerci scherzosamente. D’improvviso però quel gattino ebbe la strana
idea di intrufolarsi dietro la rete che ci separava dalla riserva. Su per la
rete s’intrecciavano rovi e spine che a
volte ci regalavano succose more.
Io non ero mai andato oltre la rete,
sapevo che era pericoloso. Mi avvicinai appena, con cautela e, non riuscendo a
scorgere il gattino, che intanto aveva iniziato a miagolare, cercai di
introdurvi un pochino il mio musetto. Fu un attimo…
Sentii una
forte pizzico sul mio musetto e feci per ritirarmi indietro. Intanto il gattino
era uscito a divincolarsi da solo, e in un secondo si ritrovò al sicuro tra le
braccia delle stesse persone che lo avevano portato con lo scopo di lasciarlo
in campagna, da noi. A me era passata la voglia di giocare, avevo addosso solo
quella strana sensazione di prurito che proprio non voleva lasciarmi. A sera
tardi gli ospiti andarono via portando
con sé anche il gattino.
Io non avevo mai smesso di grattarmi con difficoltà il
musetto. Nei giorni a seguire mi calò l’appetito e, a dir la verità , anche la voglia di correre e di
giocare; il fatto era che non è che non ne avevo voglia, era che non ce la
facevo, poiché mi sentivo stanco. Stanco davvero. In famiglia capirono che
qualcosa non andava in me, avevano provato continuamente e con infinito affetto
a farmi mangiare ma non c’era verso. Non avevo fame.
Nell’arco di una settimana ero dimagrito tantissimo e avevo
notato sguardi preoccupati su di me. Ricordo ancora quel pomeriggio: quel
dottore con me era stato bravissimo e non avevo neanche sentito la puntura che aveva fatto per prelevarmi un po’ di sangue. Dovevano fare delle analisi,
così avevo sentito dire, ma non sapevo cosa significasse.
Sapevo solo di avere una fiducia cieca nella
mia famiglia. La mia famiglia. L’unica e sola. I giorni passarono in fretta e io dimagrivo
sempre di più, finché non riuscii neanche
più ad alzarmi. Mi sentivo strano, sempre di più. Poi sentii lo squillo del
telefono e capii che non era arrivata una bella notizia. Lo capii perché dopo
la telefonata tutti si misero in allarme e continuavano a ripetere una strana parola di cui non conoscevo affatto il significato ma che sapevo riguardare me:leishmaniosi. Avvertii subito una certa tensione in
famiglia. O, meglio, una preoccupazione generale. I seguenti due giorni li
trascorsi coricato come sempre ma, questa volta mi avevano messo un flacone
collegato con un tubicino sotto la mia cute, e avevo sentito dire che si
trattava di una flebo. Sarebbe stata la prima di tante. Inutile dire che non
sapevo cosa fossero, ma senza più forze e fiducioso come sempre nei miei,
lasciavo far fare loro tutto ciò che volevano su di me. Sentivo che mi amavano
e io amavo loro.
Ma sentivo anche che stavo per compiere un viaggio e non avvertivo nessuna paura. Non ero solo: con
me la mia famiglia ….. e, poi …..
l’ultima visione che ebbi furono gli
occhi della mamma che mi guardavano piangenti
da dietro la vetrata di casa; riuscivo a sentire a stento le
mani del papà che delicatamente mi
accarezzavano e che, allo stesso tempo, tenevano sollevata un’ennesima flebo. L’ultima.
Il pianto dei bambini giungeva a me ormai lontanissimo…. ma io
sapevo che erano vicini.
Poi fui avvolto da un improvviso calore che sembrava
allietare le mie sofferenze.
Fu in quel
momento che mi sentii leggero come il vento e vidi…. come d’incanto un posto meraviglioso! C’erano dei prati dai mille tenui
colori, stupende farfalle svolazzavano allegre sui fiori profumati, e
sprizzanti di gioia e di felicità davanti a me la mia famiglia: la mia mamma e il
mio papà !
Erano quelli veri, e accanto a loro c'era anche uno dei miei fratellini. Tutto ciò
era magnifico e fui accolto con amore da tutti, anche da chi non conoscevo. Ora
sono qui, in questo posto d’incanto, e spesso vado a trovare la mia famiglia
terrena; so che manco loro tantissimo e so quanto hanno sofferto per la mia
scomparsa….. so che un giorno torneremo a stare tutti insieme e quel giorno
sarò pronto ad accoglierli con infinito amore……..
Dedicato a Bobbi
( fine)
(giuba)
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