lunedì 22 luglio 2024

Avventura nel sottobosco

 


Quel giorno non era proprio un bel tempo. Eppure mi ero alzato con tanta voglia di fare,  quella mattina. Era sabato, non c’era scuola, quindi potevo prendermela comoda;  per una volta alla settimana mi alzavo un po’ più tardi. Avevo dormito come un sasso. La notte appena trascorsa mi aveva accompagnato in un sogno fantastico. Uno di quei sogni che sembrano veri, a dir la verità un po’ tutti i sogni sembrano reali! Ma il mio lo era sembrato davvero! Avevo avuto un’avventura nel bosco. Che sogno magnifico! Avrei voluto continuare la mia avventura surreale, ma la sera prima avevo impostato la sveglia alle 9:00. Desideravo alzarmi presto, fare colazione ed uscire subito fuori a giocare a rincorrere le farfalle. Non le volevo certo catturare! Io amo gli insetti, di ogni genere e specie. Semplicemente volevo osservarli da vicino, e magari scattare qualche foto da allegare all’album che mi era stato regalato per il mio dodicesimo compleanno.

Mi alzai di scatto non appena sentii il carillon.  Sì, avevo impostato come suoneria un carillon, in modo da svegliarmi tranquillamente. Ma niente! Mi ero comunque alzato di soprassalto, perché il  desiderio di uscire all’aria aperta era incontenibile.

Ma il  mio entusiasmo si spense presto, non appena mi avvicinai alla finestra e dopo aver infilato velocemente le pantofole morbide che tenevo sotto il letto. Fuori non c’era il sole di ieri, anzi, la giornata sembrava uggiosa, e quei nuvoloni alti e scuri nel cielo non promettevano nulla di buono. Mi appoggiai alla finestra della mia cameretta, assorto. Ora il silenzio era rotto solo da qualche tuono che rimbombava nelle mie orecchie. Preceduto da lampi che riuscivano ad  illuminare a giorno la mia stanza. Fu in quel momento che sentii la voce di mia mamma che mi chiamava per la colazione. Il mio nome lo avrà ripetuto tre o quattro volte.... Domenico! Domenico! Ci volle un po’ affinché le potessi rispondere. Ero completamente perso nei miei pensieri, proiettato con la mente fuori dalla finestra, curiosando con lo sguardo nel bosco adiacente al parco di casa.

Ricordo di aver fatto colazione lentamente, non avevo più fretta, anzi stavo valutando di rimettermi a letto, chissà se avrei potuto recuperare il sogno perso, o se rimanere alzato e giocare un po’ con Matilde, mia sorella di otto anni. Papà era già uscito, per un impegno di lavoro. Ripensandoci forse era meglio lasciar stare Matilde, lei si stava già preparando per fare dei dolcetti con mamma. Glielo aveva promesso la sera prima. E Matilde ha una memoria di ferro. Non scorda niente! Quindi dopo colazione tornai in cameretta, e ripresi la mia posizione di prima, gomiti sul davanzale della finestra e sguardo perso fuori. Che tristezza quel tempo. Ora si era fatto ancora più scuro fuori, sembrava già sera, eppure erano ancora le 9:30 del mattino.

Fu in quel preciso momento che vidi una farfalla dai colori straordinari. Mai visto un’esemplare così. Sbatteva le sue ali delicatamente, i colori tenui riflettevano i raggi del sole, sembrava dirmi di seguirla. Così feci. Ora il sole era spuntato, potevo sentire il calore sulle mani e sul volto. Vedevo fluttuare davanti a me la farfalla. Sembrava danzare. Era uno spettacolo unico. Sentivo il mio cuore battere dalla gioia. Sì! Finalmente ero libero di correre nel bosco. Lo avevo fatto tante volte. Ed ogni volta ne ritornavo più entusiasta di prima.

Seguii la farfalla fino alla vecchia signora. La vecchia signora era in realtà una quercia, questo nome glielo diedi io, perché i miei mi hanno sempre raccontato che quell’albero gigante era lì da molti anni.

Arrivati alla vecchia signora la farfalla si unì in volo con altre sue simili. Erano tutte diverse tra loro. Ma tutte emanavano una luce intensa, i loro colori risplendevano alla luce del sole, che ora brillava in un cielo limpido e terso.

Arrivato al grande albero, mi sedetti per riposarmi un po’, avevo corso e respiravo con affanno.

Intorno a me, non c’era nessuno, a parte quelle fantastiche farfalle che continuavano la loro incantevole danza. Eppure mi sembrava di essere osservato. In effetti era proprio così. Due occhietti vispi mi stavano osservando. Io non ebbi paura. Sono sempre stato un ragazzino coraggioso, ed essendo cresciuto accanto al bosco, ero abituato alla vista di  strani animaletti, quindi più che paura ero curioso di capire a chi potessero appartenere quegli occhietti vivaci.

Quando quell’esserino  si accorse che anch’io lo stavo guardando, il suo sguardo divenne quasi di rimprovero e rivolgendosi a me, disse – Ti sei seduto sull’uscio di casa mia! Come faccio ad entrare se non ti sposti?-  Allora mi alzai di scatto, sotto di me c’era un buchino. Non appena mi alzai immediatamente quel piccolo insetto ci si infilò, ma prontamente lo seguii anch’io. Ora sapevo chi fosse quello strano esserino, era una formichina che cercava di ritornare nel suo formicaio. Ricordo di averla seguita a lungo, in un percorso che sembrava non finire mai. Era una specie di labirinto. Finché seguendola arrivai in un grande spazio, era come se il tunnel d’improvviso si allargasse, e, in quello spazio potei scorgere milioni di formiche. Era una colonia. Conoscevo bene questo  termine avendolo studiato a scuola ma, soprattutto avendo letto tanti libri sugli insetti. Mi ero creato, in cameretta,  una piccola biblioteca sugli animali. L’ho sempre detto. Da grande voglio fare il veterinario! Ero quindi giunto in una colonia di formiche. Fu allora che quella formichina che avevo seguito furtivamente, si accorse della mia presenza. Ma non sembrava infuriata. Anzi, mi presentò alla regina, dicendomi che era lei a deporre le uova. Mi presentò ai soldati, spiegandomi che essi avevano il compito di difendere la colonia e, infine mi portò a vedere i nidi dove erano deposte le larve, le future formichine. Mi spiegò che lei era un’operaia, come tante di loro. Sapevo bene che all’interno di un formicaio ogni individuo ha un singolo compito. Avevo letto tanto a proposito.

Ricordo di essere stato trattato con cordialità in quella colonia. Rimasi a lungo con loro. Le aiutai anche a riporre il cibo nei magazzini. Il tempo sembrava scorrere velocemente, quando, ad un certo punto, una formica diede l’ordine di chiudere l’entrata del formicaio perché,  con l’arrivo del buio della notte, potevano esserci pericoli per la colonia. Compresi allora che si era fatto tardi senza accorgermi dello scorrere del tempo. Si sa. Quando si sta bene in compagnia il tempo passa velocemente!

Dovevo rientrare subito a casa. Sicuramente i miei non vedendomi ritornare erano in ansia! Dovevo fare presto.

La formichina, ormai mia amica, mi disse che non poteva accompagnarmi, né lei né nessun’altra, perché essendosi fatto buio, nessuna più aveva il permesso di uscire né tantomeno di avvicinarsi all’entrata.

Iniziai a preoccuparmi. Sapevo che per arrivare alla colonia avevo attraversato un’infinità di tunnel, un labirinto lungo e tortuoso. Ma come ritrovare la strada del ritorno  ora?

Salutai tutte le formichine, regina compresa e m’incamminai verso un braccio del labirinto. Io, da sempre ragazzino coraggioso, ebbi paura. Paura di non riuscire a ritrovare la strada giusta.

Camminai a lungo, certo di aver percorso la stessa strada più volte, riprovai e riprovai ancora, ma avevo la sensazione di girare in tondo.

Stavo per perdere la speranza di tornare a casa. Ora rimpiangevo quei lampi e tuoni che la mattina non mi avevano permesso di uscire. Quanto avrei dato per trovarmi al sicuro nella mia cameretta!

Proprio mentre mi stavo dando  per vinto, notai innanzi a me una lucetta, tenue, quasi rassicurante. Pensai di seguirla. Del resto non avevo nulla da perdere. Attraversai non so quanti tunnel, seguendo fiducioso quel bagliore. Finché riconobbi l’uscio da dove ero entrato. Ero giunto all’uscita!

In quel momento mi si manifestò innanzi la farfallina che avevo visto dal davanzale della finestra della mia cameretta, era lei, che mi aveva guidato fin verso l’uscita. Feci appena in tempo ad uscire da quel buchino che due formichine, le sentinelle, chiusero l’uscio. Ormai il formicaio era impenetrabile, e la colonia era al sicuro.

Fuori il buio. La notte era scesa, il cielo era di un blu scuro. Nel bosco c’era un silenzio assordante, rotto solo dal bubolare  dei gufi. Non sapevo che ora fosse, ma ero certo che era tardissimo e sicuramente sarei stato punito, ma preferivo essere punito piuttosto  che rimanere nel bosco durante la notte. Del resto sapevo di meritarla. Non avrei mai voluto far preoccupare i miei genitori. E chissà Matilde se era disperata!

Il bosco era molto buio e inaccessibile. Ma ora ero fiducioso di trovare la strada di casa, con me c’era un aiuto prezioso, che dall’inizio di quest’avventura non mi aveva mai lasciato, la farfallina, che con la sua danza magica e i suoi colori inebrianti, mi illuminava la strada del ritorno. Adesso non avevo più paura, la seguivo con grande speranza. Ero sereno. Sapevo cosa mi aspettava a casa, ma comunque non vedevo l’ora di ritornare. Sembrava essere senza fine la strada del ritorno. Finché riconobbi il parco di casa, ero arrivato all’uscita del bosco. Finalmente a casa!

Le luci erano spente. La finestra della mia cameretta era rimasta stranamente aperta, meglio così! Entrai da lì, scavalcandola. Sembrava che in casa non ci fosse nessuno, oppure essendo tardi forse i miei stavano dormendo. Possibile che non si erano accorti della mia assenza? Appena rientrato nella mia stanza, mi avvicinai alla finestra per chiuderla.

Poi d’improvviso una voce. Era la mamma. Mi sentii scuotere –Domenico! Domenico! Ma possibile che ti sei addormentato appoggiato sul davanzale della finestra? Guarda, sta entrando tutta la pioggia! Presto, chiudi la finestra!-

Mi girai di soprassalto. I miei occhi increduli si posarono sull’orologio con le lancette che avevo sul mio comodino. Eh sì, già dall’età di dieci anni avevo imparato a leggere l’orologio, ma... non era possibile! Segnava le 10:35.

Allora guardai fuori, il cielo. Il cielo era gonfio di nuvole. Non erano più così nere. Si sentiva qualche tuono in lontananza. Il temporale si stava allontanando. nell’attimo dopo entrò Matilde con le sue manine tutte sporche di impasto, fiera di farmele vedere, era la prova che aveva fatto i dolcetti con mamma e io avrei dovuto assaggiarli per poi darle la mia sentenza che doveva essere assolutamente positiva. Lei era così.

Ma allora? La mia avventura.....Era stata solo un sogno. Un sogno fantastico.

Però, se devo dirvela tutta, fui molto contento di essermi ritrovato a casa!

giuba

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